Diamo la parola
alla musica
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Preludio programmatico
di Caterina Barontini – 22/11/2020
Diamo la parola alla musica! In tutti i sensi: vogliamo che questo blog sia uno spazio di ascolto musicale e allo stesso tempo di esplorazione guidata dentro la musica, per aiutare chiunque passi di qua a captare i messaggi nascosti "fra i righi" del pentagramma.
Perché questo spazio? Perché la musica ha bisogno di parole, oggi più che mai, per poterci parlare con tutta la sua forza?
Troppo spesso i musicisti sono stati e sono tutt'ora esclusi dal partecipare al simposio culturale delle arti e delle scienze, al quale tutt'al più ne è ammesso qualcuno come gentile ospite che intrattenga il simposio con un sottofondo. Come se l'equazione musica = intrattenimento fosse vera senz'ombra di dubbio. Non sarà che è sparita la consapevolezza delle connotazioni più alte e complesse del suono (narrativa, drammaturgica, simbolica, rituale, trascendente), spesso banalizzate dalla musica "alla moda", "di successo"?
Siamo in un tempo in cui, alla domanda sul perché la musica sia importante nella vita, la stragrande maggioranza delle persone risponde: "perché mi emoziona" (funzione psicagogica), "mi rilassa", "mi fa stare bene" (f. terapeutica) e/o "perché mi piace", "mi diverte" (f. ludica). Risposte positive e condivisibili anche se parziali; il problema sorge quando chi le pronuncia non sembra avere gli strumenti cognitivi né l'interesse per concepire altri ruoli della musica.
Purtroppo in Italia il pensiero dominante eredita una tradizione educativa priva di un fondamento epistemologico nell’ambito della pedagogia e della didattica musicale (per approfondimenti consiglio questo contributo di Nicola Badolato e Anna Scalfaro per la rivista Musica Docta, a questo link). Un esempio eclatante, per meglio dire assordante, è l’assenza della Storia della musica nei licei, nei quali invece la Storia dell'arte per fortuna esiste. Senza un'educazione all'ascolto è difficile riconoscere i valori musicali estranei agli idiomi stilistici di larga diffusione mediatica, al punto che si tende a chiamare "musica" la sola musica leggera, collocando la musica colta in territori remoti e dimenticati, come una lingua senza futuro.
In questo contesto le uniche isole felici del compositore sembrano essere il Songwriting (grande arcipelago!) e le fertili, ospitali Colonne Sonore. Lidi per vacanze da sogno. Ma qui forse c'è il discrimine tra il compositore-artigiano e il compositore-intellettuale. Per quest'ultimo una vita in vacanza non ha senso, poi stanca; ecco allora che torna a cercare il paradiso nel quotidiano, ritrovandosi nel pieno della sfida che ho cercato di spiegarvi e che in altre parole è questa: combattere lo stigma che equipara lo stato di musicista a quello di musicante e per generalizzazione appiattisce il ruolo della creatività musicale al solo fine di svago, misconoscendo o rifiutando altri ruoli. Da qui i tristi corollari secondo i quali fare musica non sarebbe un lavoro culturale o addirittura neanche un lavoro: luoghi comuni ingiusti perché originati da una mancanza di verità.
La verità a cui vogliamo dare spazio è che la musica è una cultura nella cultura, in quanto linguaggio artistico che vive di cultura e per la cultura. Per andare in questa direzione vogliamo dimostrarvi che gli snodi estetici e filosofici, compositivi e stilistici, teorici e semiografici (al livello della notazione, cioè dei sistemi di scrittura) della storia della musica sono intimamente legati ad altri snodi, in apparenza distanti, riguardanti la storia della letteratura, della filosofia, della matematica, delle arti e delle scienze e non ultima la storia economica e politica. Un intreccio non astratto e mentalistico, ma 'segretamente manifesto' nella concretezza della materia sonora: farne esperienza con la mediazione di una riflessione verbale può restituire il sapore e il piacere dell'ascolto a chiunque, a prescindere dal fatto che sia musicista, appassionato o semplice curioso. Già, perché anche i musicisti sono sempre pericolosamente soggetti alla “sindrome” di Novecento, il personaggio di Baricco: non sentire la voce del mare, essendoci sempre vissuto sopra e dentro. Allo stesso modo il rischio da cui vogliamo salvarci è che la musica non ci parli più della vita, dell’amore, della realtà. Ciò che ci salva è il coraggio di toccare terra, guardando il mare-musica dai territori di altri linguaggi. Altrimenti ci inghiottirebbe e ci esploderemmo dentro.
Ed è importante che la musica ci parli, perché sappiamo che è fonte di vita. Proprio come aveva intuito Hildegard von Bingen otto secoli e mezzo fa.
Scrittrice, poetessa, compositrice, naturopata e teologa del XII secolo (per fare un sunto estremo!), Hildegard fu la prima persona che nella storia dell'Europa occidentale firmò le proprie composizioni trasgredendo il principio dell'autorità e dell'anonimato. Nel Medioevo infatti, a partire dal IX secolo, solo il canto gregoriano, cioè a firma vera o presunta di Papa Gregorio Magno, era accreditato come musica degna… e oltretutto si firmò proprio lei, donna. Con una grande mole di canti originali in latino, scritti e proposti alle consorelle con intuizioni musicoterapeutiche inaudite, Hildegard ci ha mostrato come la musica possa essere l'alleata della vita, "ponte fra l'Uomo e Dio", arte capace di plasmare i momenti di ricarica spirituale (personale e comunitaria) necessari per svolgere qualsiasi lavoro culturale o materiale. I canti di Hildegard furono il nucleo centrale di una multiforme vena creativa che per il resto ci ha lasciato lettere (anche a Papi e imperatori) e trattati (su Dio, il cosmo, l'uomo, la natura, la medicina naturale). Aprendo la sua principale raccolta di canti, dal titolo "Symphonia Harmoniae Caelestium Revelationum", basta dare un'occhiata ai suoi versi (anch'essi originali) per gioire della verità nascosta in quest'opera: queste parole hanno visto la luce in quella forma poetica proprio perché affiancate fin dall'inizio da un anelito musicale.
Ora però scavalchiamo otto secoli e mezzo e torniamo nel XXI secolo: dobbiamo salutarci e darci appuntamento al primo articolo. Questo era un preludio programmatico. Alla prossima!
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