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Pasolini e il “dolce ardore” della musica

07/03/2022 21:11

Albarosa Lenzi

Novecento, Musica e poesia, Musica e letteratura, Pier Paolo Pasolini, Musica e cinema,

Pasolini e il “dolce ardore” della musica

Un ricordo di Pasolini con il focus sul suo amore per la musica, raccontato dai suoi scritti, dalle colonne sonore dei suoi film e dai suoi testi di canzoni.

Vorrei ricordare Pasolini mettendo da parte il poeta, lo scrittore, il regista e l’intellettuale per focalizzarmi sul suo amore per la musica e sulla sua attività di paroliere. La curiosità è un aspetto peculiare della sua personalità, caratterizzata da una grande sensibilità e acutezza intellettuale, sempre alla ricerca di nuovi orizzonti.

“Non vedo perché sia la musica che le parole delle canzonette non dovrebbero essere più belle. Un intervento di un poeta colto e magari raffinato non avrebbe niente di illecito. Personalmente credo che mi interesserebbe e mi divertirebbe applicare dei versi a una bella musica” (intervista ad Avanguardia, 1956). Nascono così composizioni in versi musicate da Ennio Morricone, Piero Umiliani e Piero Piccioni, interpretate da Domenico Modugno e Sergio Endrigo; tra le canzoni in romanesco Il valzer della toppa e Cristo al Mandrione di Gabriella Ferri, Cocco di mamma e Macrì Teresa detta Pazzia di Laura Betti.

 

Accanto al linguaggio delle periferie troviamo la tematica pacifista e l’antimilitarismo, come ne Il soldato di Napoleone (su testo tratto dalla raccolta La meglio gioventù) musicato da Sergio Endrigo. Il soldato di Napoleone è contenuto nel primo 33 giri del cantautore istriano (1963), che si apre con Io che amo solo te. Nel 1967 Pasolini collabora con Domenico Modugno, scrivendo il testo di Che cosa sono le nuvole. Modugno aveva già lavorato con lui cantando i titoli di testa e di coda del film Uccellacci e Uccellini (1966).

 

La musica è una delle chiavi per accedere al pensiero del poeta; nelle forme musicali egli individua infatti la capacità di incorporare l’infinito. La sua prima folgorazione avviene a Casarsa grazie alla violinista Pina Kalc (profuga in seguito all’occupazione tedesca della Slovenia), che gli fece conoscere Bach. Pasolini interpreta la musica bachiana con gli strumenti della poesia, ricavando immagini e metafore che lo guideranno nella sua attività di regista. Da qui discende l’accostamento della Passione secondo Matteo alle scene di vita e di violenza della borgata romana dove vive Vittorio detto Accattone (1961). Addirittura l’inizio del film è nel segno della Passione di Bach con l’episodio finale dell’opera, Wir setzen uns mit Tränen nieder und rufen, il cui testo tradotto in italiano recita: “Noi ci sediamo a terra, in lacrime/ e a Te nel sepolcro gridiamo:/ Dolce riposo, riposa in pace!/ Riposate, sue spoglie esangui!/ Il vostro sepolcro e la pietra tombale/ siano per lo spirito angustiato/ un comodo cuscino,/ e dell’anima l’estrema dimora./ Nella massima gioia, allora, si chiuderanno gli occhi.”

Bach è il maestro che lo apre all’intelligenza della musica classica. Nella lettera a Franco Farolfi confida la sua recente scoperta del sinfonismo beethoveniano: “Ora mi sono accorto che, mentre prima per stare ad ascoltare musica e capirla dovevo ricorrere ad immagini e sentimentalismi, non ce n’è invece affatto bisogno: c’è in noi senz’altro qualcosa di musicale che diviene sentimento direttamente rimanendo musica. Ascoltando Beethoven, percepiamo una tale forza e commovente passione capaci di far rivibrare “quel qualcosa puramente musicale che in noi esiste e deve essere solo coltivato” (Vita attraverso le lettere, a cura di N. Naldini, Einaudi, Torino 1994).

L’atteggiamento con cui si rivolge a Bach orienta la sua interpretazione del linguaggio musicale dell’età classica. Nel Vangelo secondo Matteo (1964) sono presenti opere di Wolfgang Amadeus Mozart, in cui “il sacro e il profano miracolosamente si mescolano”, come egli annota nella sceneggiatura. La scelta di tali musiche gli era stata suggerita da Elsa Morante, a lui molto affine nelle modalità di ascolto. Agli occhi di Pasolini, Mozart diviene immagine della “leggerezza mortuaria”: “Elsa Morante mi ha insegnato ad amarla. Ho imparato ad amare Mozart e lo amo nonostante non sia nelle mie corde […] perché questo male profondo che si espia in leggerezza, che vince il dolore con la leggerezza, sarà forse più santo della santità canonica, ma io sono per quest’ultima” (Pasolini, una vita di N. Naldini, Einaudi, Torino 1989).

 

Al contrario di quanto avviene nei confronti della musica di Bach, Mozart e Beethoven, Pasolini manifesta un netto rifiuto dell’opera ottocentesca, identificata con la cultura borghese; in alcuni suoi film arriva a banalizzare il mondo del melodramma, con effetti satirici. Alcuni esempi: ne La ricotta (1963), Sempre libera degg’io viene sottoposta ad una ridicolissima accelerazione; ne La terra vista dalla luna (1966), il tema di Va’ pensiero viene suonato da Ninetto con l’armonica a bocca; in Uccellacci e Uccellini, una citazione dal Siegfried di Wagner viene inserita in una situazione grottesca.

 

La riflessione nei confronti del canto popolare si inserisce all’interno della polemica contro l’omologazione, che aveva distrutto i dialetti. “Un popolo avanza al suono di una marcia fatta di cattiva musica, con l’attenzione requisita da una televisione retrograda, incoraggiata da un cinema spesso innominabile. Non è musica d’arte, questa, ma uno sterile balbettio che obbliga la gioventù a rifugiarsi nella produttività consumistica. Ecco perché la gioventù tace ed è lei, del resto, che scrive la storia.” (P. Pasolini, L’unica anormalità che la società tollera ancora è la donna, in Interviste corsare, Febbraio-Marzo 1970, a cura di M. Gulinucci, Liberal Atlantide Editoriale, Roma 1995).

 

Nell’introduzione al Canzoniere italiano (Nuova ediz. Garzanti, Milano 2019), parla della drammatica tendenza del canto popolare a scomparire dalla vita culturale e artistica italiana. In tutti gli episodi del film Decameron (1971), troviamo, come cornici alle vicende narrate, numerosi canti tratti dal folklore campano. Essi ricoprono un ruolo centrale ed acquistano rilevanza espressiva. Con lo stesso sentimento nostalgico e la coscienza del valore culturale, storico e antropologico del patrimonio popolare, sposta l’attenzione anche al di fuori dei confini nazionali. Ne sono testimonianza i canti e motivi bulgari e rumeni inseriti in Edipo re (1967) e in Medea (1969). Di questa sua passione troviamo tracce sia nel cinema che in letteratura: in Petrolio (romanzo a cui lavora tra il 1972 e il 1975, pubblicato postumo da Einaudi nel 1992), Pasolini ci rivela un suo desiderio: “Io mi trovavo a Kathmandu, e mi ci trovavo perché tra i miei hobbies c’è quello di raccogliere musica popolare.” Alcuni materiali registrati in Nepal saranno impiegati nel film Il fiore delle Mille e una notte (1974).

 

Claudia Calabrese (in Pasolini e la musica, la musica e Pasolini. Correspondances, Diastema, Treviso 2019) mostra un Pasolini amante della musica e ad essa profondamente legato, come attestano i suoi scritti, l’utilizzo della musica nei suoi film e i suoi testi per le canzoni. La musicalità dei suoi scritti ha ispirato le opere dei compositori Sylvano Bussotti, con Memoria, e Ettore De Carolis, con Danze della sera. La vita di Pasolini fu una vita di corrispondenze con la musica; il poeta dichiarò il suo amore per l’arte dei suoni in Poeta delle ceneri (a cura di P. Gelli, Archinto, Milano 2010): “Io vorrei essere scrittore di musica,/ vivere con degli strumenti/ dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare/ e lì comporre musica/ l’unica azione espressiva/ forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà”.

 

Albarosa Lenzi

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