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"Bohemian Rhapsody", una meditata e accorata ispirazione

05/09/2024 12:27

Ilaria Barontini

Popular music, Freddy Mercury, Queen, Storia della canzone,

"Bohemian Rhapsody", una meditata e accorata ispirazione

In questo brano tentacolare, simile a un'opera rock, il dramma dell'esistenza umana, la perdizione e la salvezza entrano nella storia della canzone.

 

«Chi filosofa è come un animale che un folletto malvagio fa girare in tondo su un campo disseccato, mentre intorno bei pascoli verdeggiano».

(Mefistofele, in Faust di Johann Wolfgang von Goethe, 1808)

 

 «... I'm easy come, easy go…» ("Mi lascio trasportare, sono un indolente.")

(Bohemian Rhapsody di Freddy Mercury, 1975)

 

 

La canzone dei Queen presenta caratteristiche musicali e testuali particolarissime. Prima di questa canzone, un simile tema si sarebbe ritenuto estraneo alla popular music, o comunque bizzarro e infrequente. Il progressive rock aveva già praticato incursioni tra i generi e dato vita a brani frutto di assemblaggi, ma è particolarissimo l'esito di questa canzone, una sorta di "non canzone", per la forma molto anomala eppure dalle sezioni ben definite, e per come, a un primo ascolto, le parti che si susseguono possano risultare imprevedibili. Si avverte l'apertura appassionata di Freddy Mercury nei confronti del mondo della lirica, del misticismo, della letteratura, e, nel videoclip, l'importanza di rendere con accurati effetti visivi situazioni epiche, simboliche, travagliate, inconsuete e irreali, che ricordano le prime scenografie e le macchine del teatro dell'opera del Seicento, caratterizzate dalla paura dell'aldilà, dal gusto dell'incantesimo, dalla magia dell'illusione e dall'esigenza di una fuga in un mondo ideale. Dunque il brano dimostra come per un rocker lasciarsi ispirare da passioni per ambiti lontani, inconsueti e misteriosi possa essere proficuo ed innovativo. Per un rocker, e forse per ogni persona.

La canzone, dal significato in parte oscuro, può far tentare un'interpretazione. Si potrebbe definire una costruzione meditata di un'umana, istintiva aspirazione. L'aggettivo del titolo, "bohemian", oltre a ricordare "bohémien", che in francese è sinonimo di libero, anticonformista, può riferirsi anche alla Boemia, regione della Repubblica Ceca in cui nasce il protagonista goethiano dell'omonimo dramma in versi: Faust, un anziano pensatore, che, pur brillante studioso, sente di non conoscere il mistero della vita e vuole suicidarsi. Viene però distratto dal suono delle campane della chiesa ed esce a fare due passi. Tornando indietro, incontra un cane che si trasforma in uno strano uomo, Mefistofele, che gli promette una vita appagante in cambio della sua anima, una vita in cui conoscerà un attimo di piacere tale da desiderare che quell'attimo si fermi. Faust accetta per amore della conoscenza, ringiovanisce e impara a mentire e a comportarsi con arrogante sicurezza. Si invaghisce di Gretchen e hanno un figlio, ma la donna e il figlio muoiono drammaticamente. Faust viaggia sia nel tempo che nello spazio, invecchia di nuovo e, per opera di Mefistofele, si deprime e viene ridotto alla cecità. Allora immagina un futuro in cui un popolo libero e operoso avrebbe realizzato grandi imprese per la propria felicità e afferma che, se potesse vivere tanto da vederlo, desidererebbe che quell'attimo si fermasse. Il diavolo si sente il vincitore e reclama l'anima di Faust, che però viene salvato grazie all'intervento divino. Dio lo ricompensa per la sua costante ricerca di ciò che sia eterno e la sua inesauribile sete d'infinito. Bohemian Rhapsody, ispirata al Faust di Goethe, esprime molto della personalità di Freddie Mercury e, potenzialmente, di ogni individuo, dimostrando come i temi affrontati siano universali e profondamente umani. 

 

Sia nel dramma di Goethe che nella canzone i supplizi non ottengono i risultati sperati dal diavolo: la cecità e la depressione di Faust, come le paure e le sofferenze del protagonista di Bohemian Rhapsody, diventano per il soggetto fonte di lungimiranza e rivalsa, con cui poter arrivare all'affermazione e piena comprensione dell'amore, accettando il conflitto tra sete d'infinito e finitezza di ogni individuo.

Già il titolo della canzone ne descrive la struttura musicale, oltre che l’argomento. La parola "rhapsody" deriva dal greco antico. Il rapsòdo "cuciva insieme" (ràpthein = cucire) versi "cantati" (oidé = canto), accompagnati da strumenti. Una rapsodia è dunque una composizione vocale/strumentale libera, con diverse sezioni ed elementi motivici eterogenei. La canzone è effettivamente composta da sezioni ben individuabili: la prima, introduttiva, caratterizzata dagli impasti vocali e a sua volta divisa in due parti: parte prima, eseguita a cappella, di due versi (da "Is this the real life?" a "no escape from reality") e parte seconda (da "Open your eyes, look up to the skies and see") per voci, pianoforte ed effetti sintetici, e con momenti in cui emerge la voce solista; la seconda sezione: una ballata lenta introdotta dal pianoforte (la voce solista intona "Mama…") e che termina con il solo di chitarra e viene punteggiata in una sorta di esplosione da un suono in cui sono riconoscibili batteria, chitarra, basso e pianoforte; la terza: introdotta da otto bicordi ribattuti del pianoforte, di sapore melodrammatico (la voce solista: "I see a little silhouetto of a man…"); la quarta: dall'andamento più veloce, è tipicamente rock (definibile hard rock), in cui il diavolo esclama: "So you think you can stone me and spit in my eye?…"; la quinta: coda finale ("Oh yeah, oh yeah…"), dolce e distesa come la riconquistata libertà.

 

Nella parte introduttiva ci sentiamo come davanti ad un Prologo di un'opera, genere musicale cui Freddy Mercury guarda sempre, e talvolta attinge, con ammirazione e con originale slancio creativo. Le domande del protagonista diventano domande esistenziali universali ("È questa la vita reale?"), applicabili alla funzione stessa della canzone, della musica e di tutti gli altri ambiti di studio (complice anche, nel video, la ieratica staticità del gruppo).

Il testo parla di un "poor boy”, un "povero ragazzo" (di una "famiglia povera", un ragazzo che "nessuno ama", come si dirà più avanti), che si chiede se questa vita sia reale o frutto della propria immaginazione. Egli afferma tristemente la sua indolenza e la sua fragilità: "comunque soffi il vento, a me non importa". Questo rivela scarsa stima di sé e un non trovare senso alla propria vita. Il suo stato emotivo lo porta a stringere un patto con il diavolo e vendergli la sua anima. Si rende conto di aver "ucciso" se stesso, perché, se non rispetta il patto con il diavolo, morirà.

 

Inizia la seconda sezione, in cui corre dalla madre: "Mamma, ho appena ucciso un uomo, gli ho puntato una pistola alla testa, ho premuto il grilletto e ora è morto". Ha "buttato via" la sua vita. Le ordina, se non sarà tornato domani, di andare avanti "come se niente fosse". Per anni ha circolato una lettura non metaforica del testo, molto lontana dal significato originale, che, superficialmente, faceva del brano una sorta di confessione di un reato e, per l'efficacia di scrittura musicale e interpretazione, induceva a prendere posizioni di sospensione del giudizio o di forte indignazione nei confronti di un atto criminoso grave, il più grave di tutti, l'omicidio. È semplice fraintendere e non leggere con attenzione il testo, tralasciando l'importante riferimento all'opera di Goethe, che, nel lontano 1808, aveva in sé i temi centrali dell'umana esistenza. Oppure, per chi avesse capito che parlava di se stesso, suscitava condanna la scelta del suicidio. Altro fraintendimento: non si parla di un vero suicidio. In chi vi leggeva la seduzione del diavolo, il brano provocava sdegno verso il protagonista. È una canzone che rielabora grandi temi filosofici e umani in modo ispirato e istintivo, ma consapevole e profondo. Eppure anche queste ultime due reazioni che giudicano negativamente il testo si possono comprendere, in assoluto e ancor di più se pensiamo al contesto storico[1] del brano. È nato in un periodo in cui, con un'approssimazione sicuramente ingenerosa e imprecisa, i benpensanti erano pronti a condannare e giudicare, ed i giovani a perdonare e rivendicare i propri e gli altrui diritti. L'attitude rock era anche questo: frasi forti e provocatorie, espresse in modi musicalmente "gridati" o comunque insoliti e imprevedibili. Oggi il rock è un genere "classico"; va ricordato che questa ed altre musiche sorte in epoche passate, ormai ampiamente codificate, valorizzate ed apprezzate (molte volte anche citate con accenti nostalgici) nel loro essere melodicamente e armonicamente complesse, con arrangiamenti elaborati e con dinamiche ampie, sorgevano per colpire e per esprimere in modi diversi da quelli consueti. Uno di questi modi era attingere da mondi lontani e oscuri alla maggior parte dei destinatari del rock.

Tornando al testo, la frase "non volevo farti piangere" ci dimostra che sua madre piange, dunque comprende benissimo… "Mamma, comunque il vento soffia": il soffiare del vento torna e stavolta non esprime la sua confessione di essere una piuma al vento (nota immagine melodrammatica); esso prende qui il significato della certezza che la propria morte non cambierà il mondo, che non si cura di lui.[2]

L'immagine del “vento”, che condensa semanticamente temi molteplici, spinosi e razionalmente irrisolvibili, ricorda quella presente nell'Ecclesiaste, il grande libro con meditazioni sapienziali (redatto pare nel V o nel III sec. a. C. e attribuito al Re Salomone), in gran parte pessimistico, incentrato sul contraddittorio tra il bene e il male e sull'apparente vanità del tutto ("vanitas vanitatum"). Il ragazzo disvela alla madre tutto il suo dramma, dopo l'indugio del vocalizzo: "Non voglio morire, qualche volta non vorrei essere mai nato". Il canto tace ed è seguito dal solo di chitarra.

 

Quando inizia la terza sezione, dal sound di ispirazione melodrammatica, fortemente contrastante con la precedente ballata rock, perché più ritmica e con sonorità prevalentemente in forte, il ragazzo si osserva dall'esterno: "Vedo una piccola silhouette di un uomo", irretito dal diavolo, ma finalmente cresciuto, "man" (non più "boy"), termine che si era iniziato ad affermare proprio nel momento in cui davanti alla madre si dichiarava ucciso, con la stessa misteriosa estraneità. Quindi il protagonista si rivolge al suo alter ego Scaramouche, la maschera della commedia dell'arte indossata spesso da Mercury, e gli domanda in modo oscuro: "Scaramouche, ballerai un fandango?". Hemp fandango indica in inglese la danza dell'impiccato appeso alla fune prima di morire. Ci sarà una lotta tra le forze del bene e quelle del male, che si preannuncia terrorizzante ("fulmini e saette mi spaventano molto", con una citazione dalla Bibbia – Giobbe, 37 – "il tuono e il lampo mi spaventano"). 

 

"Galileo", "Figaro", "Magnifico": tre nomi in italiano, la lingua del melodramma. La prima parola evoca immediatamente Galileo Galilei, il fondatore del metodo scientifico. Pare che fosse inserito come omaggio a Bryan May, appassionato di scienza. Ci si può trovare anche un rimando indiretto alla nascita (nelle intenzioni una rinascita, dopo il contrappunto cinquecentesco) della monodia accompagnata barocca, perché il padre di Galileo, Vincenzo Galilei, fu uno dei principali membri della Camerata de' Bardi.[3] In "Galileo" non risulta irriverente la deformazione della voce (velocizzata ed alzata di tono), alternata a quella, grave, reale: l'idea contribuisce a rendere l'atmosfera in bilico tra realtà ed irrealtà, enfatizza la percezione di un dramma esistenziale e riporta alla mente un modo di cantare diverso da un'impostazione naturale, ossia proprio quello simbolico per eccellenza per tutto il mondo occidentale (e non solo) del Novecento: quello dell'opera lirica. Alla quinta ripetizione voce acuta e voce grave si riuniscono, a suggerire musicalmente la ricomposizione dell'io e la risoluzione del conflitto. "Figaro" evoca celebri partiture, come Le nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart e il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, molto amato da Mercury. "Magnifico" fa pensare a Lorenzo il Magnifico, e la sua pagina celeberrima, La canzona di Bacco (scritta probabilmente nel 1490 e inserita nei suoi Canti carnascialeschi), che ai quesiti esistenziali offre una possibile, laica, disincantata risposta: invita al divertimento partendo dalla consapevolezza della caducità della vita.

Il dramma esistenziale del brano rock ha elementi tentacolari che sono stati affrontati (e sempre lo saranno) in poesia, in letteratura e nei più svariati ed apparentemente contrastanti ambiti culturali, religiosi, filosofici, scientifici e artistici, spesso tra loro lontani cronologicamente e geograficamente.

 

La terza sezione è "parente" della parte introduttiva per l'uso dei cori; questa vicinanza è enfatizzata dal riproporre, nel video, il gruppo posizionato nello stesso modo, con stessa staticità, che amplifica per contrasto l'incalzare della musica e del dramma. Ancora l'alternanza di voci gravi e acute. Forse è la madre, in registro acuto, a pregare Dio e gli angeli perché venga liberato dal patto con il diavolo, ricorrendo all'epiteto ormai consueto: "è solo un povero ragazzo", "liberate la sua vita da questa mostruosità". Ma potrebbe essere una sorta di coro greco antico a implorarlo: "lo lascerete andare?". L'umanità intera si può identificare in questa preghiera, che risponde al "sono solo un povero ragazzo e nessuno mi ama" del protagonista, enfatizzandolo. "Mi lascio trasportare, sono un indolente": egli continua a denigrarsi, non ha ancora preso coscienza delle sue qualità. Le preghiere vengono ascoltate dalle forze del bene che combattono contro le forze del male.

 

Ascoltiamo a gran voce, più volte e in posizione enfatica, la parola "Bismillah"[4], che, in arabo, significa "nel nome di Dio". Dopo questa invocazione, una promessa: "Non ti abbandoneremo". Quasi a sottolineare che la sorte del singolo è condivisa da tutti, il corale, acuto "lasciatelo andare!" e "lasciatemi andare!" si alternano in risposta alla parte cantata in registro più grave "non ti lasceremo andare, mai!", enfatizzata dalla batteria (le forze del male). Il ragazzo si rende conto della gravità della situazione e, in questa guerra, teme per la vita di sua madre, riconoscendo nell'esistenza il suo profondo valore. La preoccupazione per la salvezza della madre porta ad altre drammatiche parole ripetute, dal ritmo ancor più serrato: "No, no, no, no, no, no, no!". Per salvarla preferirebbe essere portato via dal diavolo, perciò le dice: "oh, mamma mia, mamma mia, mamma mia", così, in italiano (di nuovo la lingua del melodramma), e con ben tre ripetizioni, "lasciami andare!" (l'ultimo "mamma mia" seguito da "let me go" è corale). Dal cielo gridano di nuovo che non lo abbandoneranno, mentre egli soffre ancora ed esclama: "Belzebù ha messo un diavolo da parte per me, per me, per me" ("Belzebub has a devil put aside for me, for me, for me"). Questo suo rendersi pienamente conto del dramma estremo, davanti a cui quello iniziale, interiore, perde senso, viene nuovamente enfatizzato con un'esecuzione corale; tutti i cori sono particolarmente incisivi, grazie ad un sapiente uso delle sovraincisioni, come suggerisce il video che ne moltiplica l'immagine. In tutta la sezione, l'arrangiamento, all'epoca molto innovativo, scoppiettante e sonoro, è da opera rock, con largo spazio a percussioni e cori.

 

In corrispondenza con la terza ripetizione di "for me", in cui chitarra e voci si fondono fino a essere poco distinguibili (l'io del protagonista non è più disgregato: si è ricomposto), inizia la quarta sezione, al tempo percepita come hard rock, con un'energica parte introduttiva di chitarra e batteria. L'uso massiccio della batteria ricorda il finale de "L'histoire du soldat", in cui il personaggio del diavolo ha ispirato in Igor' Stravinskij il primo lungo solo di percussioni a suono indeterminato della storia della musica. La voce di Mercury caratterizza ora il diavolo, tradito dal ragazzo che non ha rispettato il patto; egli si sente impotente di fronte a un uomo che si è pentito e ha scelto l'amore, ed esprime così tutta la sua cattiveria e la sua ira: "Dunque pensi di potermi lapidare e sputarmi in un occhio? Dunque pensi di potermi amare e lasciarmi morire? Oh, baby, non puoi farmi questo, baby…". Deve andarsene.

 

Su suoni di chitarre e di batteria si innesta il pianoforte e inizia la quinta ed ultima sezione (coda): l'energia si placa ("oh yeah, oh yeah", finalmente, dopo tanti nefasti "no"), la batteria diventa rassicurante fino a tacere, mentre voce, chitarra e pianoforte eseguono passaggi carezzevoli, in un sound coerente con quello della ballata, ma arricchito dal dramma vissuto e più disteso, risolto: persa la battaglia, il signore del male se ne è andato. Sulle note del canto "niente importa davvero, chiunque può vederlo" ("nothing really matters" ripetuto ben tre volte, con musica sempre cangiante, "to me", "per me"), il protagonista è finalmente libero e prova un senso di conforto. Chiude la canzone la ripetizione di "anyway the wind blows…" (rimane interrotto a metà il verso già ascoltato al termine della sezione introduttiva: "comunque soffi il vento, a me non importa"), quasi un sussurro, in diminuendo e in rallentando (il motivo vocale ricorda però quello dell'inizio della terza sezione: "I see a little silhouetto…" e, per il cromatismo, "easy come, easy go"), seguita da un soffuso suono di gong, strumento usato in estremo oriente e Cina per curare le persone sotto l'influenza di spiriti maligni. Il suono in pianissimo del gong evoca il soffio del vento, che avvolge, circonda, riassume il brano, e forse è la rappresentazione vaga, intangibile ma da tutti materialmente sperimentata della vita, di cui, una volta finita, resta solo vento, un vento che ha provocato passioni, danze, combattimenti, illusioni e disillusioni… infinite perché si rinnoveranno nelle generazioni future.

 

La canzone, che dà l'impressione di essere improvvisata, casuale, frutto di accostamenti arbitrari, rivela una costruzione meditata, funzionale a esprimere profondi significati simbolici. Ci sono elementi musicali che collegano le sezioni e le fanno percepire come un continuum, parti che illuminano un unico quadro, frutto di coerenza nell'incoerenza. Potrebbe essere scaturita spontaneamente, con la sapienza del pittore che ritrae un paesaggio a mano libera, e di cui un'analisi successiva dell'opera evidenzia abilità prospettiche naturali. L'argomento drammatico e misterioso e la complessità ed originalità della musica hanno decretato per il gruppo un successo mondiale, che ne lascia presagire l'immortalità.

 


Ilaria Barontini

 

 

[1] Ancora sul contesto storico: la canzone fu pubblicata la vigilia di Ognissanti, il 31 ottobre 1975, con un preciso intento simbolico. Era il giorno della festività celtica "Samhain", che celebra la transizione nell'altra dimensione. I celti credevano che il mondo dei vivi e quello dei morti potessero comunicare e in particolare che il 2 novembre (giorno dei morti) fosse permesso agli spiriti di passare il confine tra i due mondi. Inoltre, non è casuale neanche la durata del brano, di 5 minuti e 55 secondi. Infatti, in astrologia e in numerologia, il 555 rappresenta la morte spirituale, seguita dalla protezione degli angeli.

 

[2] Il vento che soffierà anche dopo la sua morte ricorda Il sole sorgerà ancora (Fiesta), il primo romanzo di Ernest Hemingway (pubblicato nel 1926) e anche il conflittuale rapporto tra uomo e natura nel profondo, poetico, immortale corpus letterario di Giacomo Leopardi.

 

[3] Tale gruppo, costituito da nobili studiosi, i cui incontri a Firenze miravano a discutere di musica, arti, letteratura e scienza, in modo informale ma impegnato, culturalmente informato ed appassionato, impresse al corso della storia della musica un ideale ritorno alle origini che determinò invece la grande innovazione del periodo barocco, meglio definito come periodo "del basso continuo" (che convenzionalmente andrebbe dal 1600 fino al 1750, anno della morte di Johann Sebastian Bach) e del melodramma.

 

[4] "Bismillah" non è in posizione enfatica solo in "Bohemian Rapsody": è la parola con cui inizia il Corano.

 

 

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